Con voto del 3 dicembre 2014, il Senato ha approvato in via definitiva la Legge Delega n.1428-B in attuazione del c.d. Jobs Act, il programma del Governo Renzi che intende riformare strutturalmente il mercato del lavoro e le sue regole.
Per la piena operatività delle disposizioni in essa contenute, oltre alla necessaria pubblicazione in G.U., bisognerà attenderne l’attuazione mediante una serie di decreti legislativi da parte del Governo, il cui termine previsto è fissato, in via generale, in 6 mesi dall’entrata in vigore della Legge Delega.
Prima di addentrarci nel merito del provvedimento della Legge Delega, una breve nota di cronaca parlamentare: il testo approvato, pur con qualche importante ritocco, ha mantenuto la sua struttura portante originaria, aspetto che riverbera i suoi effetti positivi nell’omogeneità del provvedimento. Il pensiero va infatti alla precedente riforma, attuata mediante la Legge Fornero (L. 92/2012), oggetto di eccessivi mercanteggi e compromessi nei lavori parlamentari, che complicarono la sua piena effettività.
Come è ormai noto, la Legge Delega interverrà a breve sulle seguenti direttrici:
1.riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali;
2.riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive;
3.disposizioni di semplificazione e razionalizzazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese;
4.testo organico semplificato delle discipline delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro;
5.revisione e l’aggiornamento delle misure volte a tutelare la maternità e le forme di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
Come annunciato dal Ministro Poletti, i primi provvedimenti attuativi riguarderanno il contratto a tutele crescenti e gli ammortizzatori sociali.
Riguardo a questi ultimi, l’idea è quella di ridisegnarne completamente la disciplina, ampliando i soggetti destinatari delle tutele, semplificando le procedure e riducendo gli oneri non salariali del lavoro.
Tenuto conto del perdurante stato di crisi del sistema attuale degli ammortizzatori sociali, dove uno strumento di chiusura e residuale come la cassa in deroga sta manifestando tutti i suoi problemi di sostenibilità finanziaria, il decreto attuativo, previsto come detto entro 6 mesi dall’entrata in vigore della Legge Delega, dovrebbe essere emanato nei primi mesi del 2015.
Se, in molti passaggi, è prematuro soffermarci su disposizioni che, in assenza di regolamentazione specifica, sono ancora avvolti da una oscura nebulosità, altri fissano già importanti regolamentazioni.
In particolare, tra i primi punti dell’art. 1 della Legge Delega è prevista “l’impossibilità” di autorizzare integrazioni salariali in caso di cessazione definitiva di attività aziendale o di un ramo di essa: sicuramente singolare che, nei passaggi parlamentari, sia stato aggiunto il termine “definitiva” a “cessazione”, concetto che da un punto di vista logico semantico non ammette gradazione, mentre nulla si è precisato in riferimento al ramo d’azienda, nozione che spesso ha dato vita a forti contrasti giurisprudenziali.
Ad ogni modo, l’intento è di non riconoscere più integrazioni salariali per attività aziendali destinate alla chiusura: in questo caso, la tutela riconosciuta ai lavoratori sarà legata allo stato di disoccupazione, con la mobilità e, progressivamente in via esclusiva, con l’ASPI.
Sintomatiche sono le disposizioni in materia di finanziamento degli ammortizzatori sociali: previsione di una maggior compartecipazione da parte delle imprese utilizzatrici e, viceversa, riduzione degli oneri contributivi ordinari.
In riferimento all’ASPI, è prevista la sua estensione ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, tipologia contrattuale di cui è annunciato un progressivo superamento.
Riguardo i contratti, come emerge dal richiamo sopra indicato, si annuncia una riforma epocale: semplificazione delle forme contrattuali di lavoro e introduzione di un contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio, con l’espressa esclusione della possibilità di reintegrazione del lavoratore per i licenziamenti per motivi economici (dichiarati illegittimi), limitata a licenziamenti nulli (es. licenziamento verbale) e discriminatori ed a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato. Quest’ultima eccezione, se non definita compiutamente con confini precisi, potrà determinare notevoli problemi applicativi.
Al contratto a tutele crescenti è poi abbinata un’agevolazione contributiva triennale, in via di definizione nella Legge di Stabilità 2015, che dovrebbe “affossare” le valutazioni di stretta convenienza economica, a discapito della tenuta giuridica, nella scelta del contratto di lavoro flessibile, come ci insegna la storia recente del lavoro a progetto. Sul superamento di tale tipologia contrattuale, bisognerà vedere come concretamente procederà il Governo: nulla dovrebbe cambiare per quelle forme tipizzate (es. amministratori).
Tra gli altri interventi sui contratti, si segnala la volontà di estendere l’utilizzo del lavoro accessorio per attività discontinue e occasionali.
Il Decreto Legislativo sul contratto a tutele crescenti, stante l’abbinamento con l’agevolazione contributiva in vigore dal 1° gennaio 2015, dovrebbe essere emanato tra la fine del 2014 e i primi giorni del 2015, tenuto conto che, pur in assenza di un iter parlamentare di approvazione, i decreti legislativi hanno un proprio iter a carattere esclusivamente consultivo.